Meditazione: Il nostro ruolo

Meditazione: Il nostro ruolo

Il nostro ruolo

Crociati o ambasciatori?

Un crociato è uno che porta avanti con grande zelo una iniziativa contro mali o supposti. Un ambasciatore è uno a cui viene affidata una missione speciale. Può sembrare un inutile forzatura fare una distinzione tra un crociato e un ambasciatore, perché, dopo tutto, c’è veramente una differenza tra i due ruoli? Se è così, cosa importa, e fino a che grado? E’ importante per una persona sapere se è stata mandata da Dio, oppure basta che sia coinvolta in un servizio iniziato in proprio solo perché pensa sia la cosa giusta da fare?

Questa domanda è fondamentale. Lasciamo che il cuore sia toccato riguardo ai bisogni intorno a noi e poi agiamo? Oppure c’è un punto di riferimento, più alto del nostro cuore e sentimento, verso il quale ci dovremmo orientare e dal quale dovremmo prendere gli ordini di marcia?

La storia di Mosè provvede illustrazioni adatte alle due facce di questa medaglia. Il primo tentativo di Mosè di servire i suoi fratelli fu seguito da quaranta anni di disillusione. Da un punto di vista puramente umano, le motivazioni che ispirarono Mosè a essere un’attivista per Israele erano del tutto lodevoli. Anni di vita di palazzo non avevano cancellato dalla sua mente il fatto che gli israeliti oppressi e schiavi erano il suo popolo. Nonostante le circostanze la sua lealtà era ancora per i suoi amici e parenti; legami di razza e familiari lo portavano a pensare di fare qualcosa per loro. La dimensione del suo impegno a quel punto fu sproporzionata rispetto al risultato ottenuto. Un totale eroismo era il marchio del nostro uomo, eppure quello che fece fallì miseramente. Nonostante le buone intenzioni, il suo sforzo sfociò nell’ignominia ed ebbe come conseguenza una forte delusione oltre che speranze infrante.

Il comportamento di Mosè, quando Dio lo volle incaricare e mandare, fu molto differente. Affrontato dal Signore al pruno, quarant’anni dopo, si trovò davanti al fatto che Dio voleva incaricarlo di liberare gli israeliti dal faraone. Come reagì? Era felice di avere l’opportunità di redimere un fallimento che lo aveva fatto soffrire nel corso degli anni vissuti nel deserto? Affatto. Anzi, si ritirò in un rifugio di rifiuti costruito frettolosamente. Uno dopo l’altro piantò i paletti per farsi un recinto contro l’incarico divino.

Chi sono io? Chi sei Tu? Non mi crederanno. Non sono qualificato. In nessun modo! Manda chi vuoi, ma non me!

Non voleva ritrovarsi di nuovo a risolvere quell’intrigato problema del liberare Israele, era disposto a resistere anche fino al punto di far adirare Dio. Guardatelo ora l’eroe dallo spirito forte di una volta. Guardate come si è ristretto fino a diventare una piccola anima egoista. Com’è crollato giù il potente!

Lo scopo di Mosè era stato di liberare Israele. Lo scopo di Dio nel mandare Mosè era di liberare Israele. La differenza non si trovava nell’oggetto dello scopo, ma in Mosè. Egli bruciava di zelo quando era andato alle sue condizioni, ma si gelò quando Dio lo volle mandare. Come crociato aveva la sua causa, era preoccupato per il suo popolo e di ciò che aveva pensato di fare per loro; era certo che Dio sarebbe stato compiaciuto a causa del suo contributo. Era sicuro che il popolo si sarebbe affollato intorno a lui e che il faraone sarebbe rimasto sgomento davanti a lui.

Mosè doveva imparare che il fuoco interiore generato da simpatie e motivi degni è inefficace quando si tratta di fare la volontà di Dio, anche se quelle forze eruttive possono onestamente voler fare la volontà di Dio. Infatti, quello che lui pensava essere volontà di Dio gli fu confermata, così gli sembrò, dall’inattesa opportunità di uccidere un egiziano prepotente.

Il risultato di un’azione iniziata dall’io è del tutto prevedibile, sia prima che dopo Cristo. L’uomo naturale non accetta il fatto che “ogni virtù naturale ha il marchio della morte” (Oswald Chambers). Dio non aggiunge la sua benedizione a sforzi speciali espressi da risorse umane, anzi piuttosto se ne sottrae. Deve farlo, altrimenti non sarebbe Dio. Neanche vuole permetterci di appoggiarci sul braccio delle nostre qualifiche naturali o acquisite, anche se Lui stesso ha fatto sì che le avessimo. Ignorare questo fatto può portarci a una satirica doccia fredda: una tomba nella sabbia e un uomo che, in preda alla confusione, si dirige verso il deserto.

Il successo di Mosè con Dio, nel portare avanti la più grande impressa amministrativa mai vista, ha i suoi segreti. Ci lascia queste lezioni:

Il fatto biologico di una persona può avere un profondo significato teologico. Come Mosè anche noi siamo nati quando il tempo era maturo. Come Ester abbiamo una posizione reale ”per un tempo come questo”. Come Geremia siamo ordinati e messi da parte prima della nascita per un ministero.

Dio prepara le circostanze a favore di chi ha scelto, per assicurarSi che nulla manchi al necessario equipaggiamento per il compito che ha in mente. Solo il Signore poteva fare il miracolo di dare un’istruzione gratuita del più alto grado ad un uomo nato schiavo.

L’istruzione che Dio dà non ha valore intrinseco per l’opera spirituale se non c’è il Suo diretto controllo. (Purtroppo la persona istruita è spesso l’ultima a crederlo).

I crociati tentano grandi cose di testa propria senza concludere nulla. Non hanno il tocco dell’autorità. Le medesime persone quando si piegano a Dio e vengono fatte Suoi ambasciatori, compiono l’impossibile.

A. Mathews

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